mercoledì 23 maggio 2012

Il nostro mondo liquido

Propongo un esempio di lettura intelligente della contemporaneità che, a mio avviso, è anche spunto di riflessione sulla realtà: il pensiero di Zygmunt Bauman.
Non  aggiungo altro ai video. Voglio essere un qualsiasi lettore di questo blog.
Oggi non scrivo. Rifletto.




lunedì 14 maggio 2012

Bosnia duemilasei

Sono diversi gli episodi e le circostanze che porto con me, per tanti motivi. Ciascuno ha dato un colore, un tono al mio vissuto. Forse un giorno avrò voglia di tediarvi  raccontandovi delle esperienze che hanno avuto un colore grigio e che poi, col passare del tempo, hanno trovato delle sfumature più dolci trasformandosi in un colore dai toni più chiari.
In questo momento invece sento il bisogno di rendervi partecipi di una delle cose che  ha colorato la mia vita di colori caldi e solari.
Era l'estate del duemilasei quando, appena ventenne, decisi di iscrivermi ad un progetto di un' Ong che organizzava campi scuola in Bosnia. Partii, con la mia amica Marialaura, alla volta della Bosnia, lasciando i miei genitori preoccupati, ma anche fiduciosi e entusiasti dell'esperienza che mi accingevo a fare.
Durante il viaggio in treno, appena entrati in territorio bosniaco, provai le prime sensazioni a contatto con un paesaggio dai tratti semplici, che per molti versi somiglia a quello nostro, vuoi per i colori, vuoi per le sue linee.
Trascorsi la prima settimana a Otoka Bosanska, una piccola città della Bosnia settentrionale. Il gruppo di cui facevo parte, I Vagabondi di Pace, aveva l'obiettivo di creare, all'interno delle scuole dei paesi dove facevamo il campo, delle attività con i bambini e i ragazzini bosniaci. Il primo giorno, superati lo spaesamento e l'inibizione dell'inizio, rimasi stupita da come i bambini aspettavano l'apertura della giornata al campo scuola. Man mano che i giorni passavano, mi sentivo sempre più in un habitat familiare. Devo ammettere di aver risvegliato il lato ludico che si era quasi assopito in me. 
Nei giorni successivi il rapporto divenne sempre più di contatto fisico con alcuni bambini, perchè ti saltavano addosso dalla gioia di vederti, ti abbracciavano, ti baciavano. Le ragazzine più grandi si divertivano a farmi la treccia o la coda ai capelli. A fine giornata era bello percorrere la strada verso casa con loro che ti stringevano la mano, che ti racconglievano un fiore o un frutto e te lo offrivano. A proposito ricordo bene la volta in cui un ragazzino si arrampicò su un albero per prendere una mela. Messi i piedi a terra, mi donò la mela che aveva un grosso verme all'interno. All' inizio la guardai con un certo disgusto, ma non potevo non mangiarla, non sarebbe stato cortese nei confronti del bambino, allora detti un morso alla parte in cui la mela era ancora sana.
La sera quando tornavo a casa, - sì a casa, perchè noi volontari eravamo ospiti di un gentilissimo uomo bosniaco, Izet, che metteva a disposizione la sua abitazione per i ragazzi del collettivo -,sentivo forte la stanchezza di una giornata trascorsa con più di trenta bambini. Era una stanchezza che dava le sue soddisfazioni e che veniva allegerita dalle cene a base di burek e kifla.
La prima settimana ad Otoka trascorse in fretta e ricca di emozioni.
Per il campo scuola della seconda settimana, ci trasferimmo a Krupa Bosanka. Anche lì, così come era accaduto nella settimana precedente, i giorni furono pieni e zeppi di gesti di affetto. Per me era diventato ormai naturale il rapporto con i ragazzi. Non avevo nessuna remora a mostrarmi, nonostante l'unico modo che avessi per comunicare fosse il linguaggio del corpo e degli occhi, dato che solo i più grandi tra loro capivano qualche parola di inglese.
Una delle sensazioni che non posso dimenticare è quella che sentivo ogni giorno quando, a fine attività, i bambini se ne tornavano a casa ed io ero lì a guardarli fino a che non vedevo le loro sagome sparire all'orizzonte. Era come se non volessi perdermi nulla di loro, era come se non mi sentissi mai sazia.
Si concluse anche la seconda settimana e arrivò il momento di salutare la Bosnia e quello che essa mi aveva regalato in quei quindici giorni. Non fu facile partire, mi sentivo come strappata ad un posto che mi aveva dato la possibilità di sentirmi me stessa, vivendo emozioni che ancora oggi è arduo descrivere.
Conservo le tante lettere di arrivederci e i regali che ciascun bambino ha voluto che portassi con me.
La Bosnia questo è stato per me: un insieme di emozioni che mi si sono cucite addosso, come un vestito che non potrei mai smettere di indossare.






venerdì 11 maggio 2012

Non sono obiettivo

Quando scelsi di acquistare i libri di Oliviero Toscani ero consapevole che mi sarei approcciata ad una lettura insolita e imprevedibile. Conoscendo un pò il personaggio Toscani, potevo immaginare che le sue non sarebbero state parole   scontate, soprattutto non mezzi termini. Questo mi affascinava e mi affascina.
Nel suo libro " Non sono obiettivo ", Oliviero è diretto, così come lo è con le sue fotografie e con i messaggi delle sue campagne pubblicitarie. Di sicuro è un personaggio che non conosce il perbenismo. E' una sorta di esagerazione attraverso cui esprime il suo modo di vedere il mondo.
Egli stesso scrive " io non sono obiettivo, però vedo, e molto spesso quel che vedo non mi piace. Allora mi prendo la libertà di dirlo ".
Trovo che in punto preciso del libro si possa trovare il Toscani puro, genuino e, forse per alcuni, anche un pò irriverente. Non posso non condividere con voi questo passo.



" In uno scompartimento, in treno:
<< Scusi, le dà fastidio se fumo?
E a lei dà fastidio se scoreggio?>>
Chissà perchè l'odore di un peto innocente è moralmente condannabile più del puzzo di una boccata di fumo, che ha stagnato nei polmoni marci di un fumatore. Sfido chiunque a dimostrare, tra i due odori, che quello del fumo è più ecologico. L'odore di un  peto dura, in media, dai dieci ai quindici secondi. Poi si disperde naturalmente nell'aria. Una sigaretta, aspirata con calma e non con la nevrosi che spinge chi fuma a spegnerne una e accenderne un'altra, dura dai due ai tre minuti. Il fumo ristagna per ore negli ambienti, impregna abiti e capelli dei malaugurati che vi si trovano. Le cicche sporcano i pavimenti e riempiono i portacenere.
Una scoreggia provoca, tutt'al più, un risolino e una fuga temporanea. Bisognerebbe rivedere le regole del galateo per togliere dal peto quell'imbarazzo del "si fa ma non si dice" che provoca vergogna e trasferire tutto sul fumo, un'attività che dovrebbe essere relegata alla clandestinità e, qualora fosse compiuta in pubblico, condannata dalla riprovazione e dal biasimo. Chiedere ad alta voce in un salotto: "Disturbo se scoreggio?" servirebbe a rendere evidente la violenza di chi, chiedendo educatamente se può fumare, pretende in realtà di concedersi tre minuti in cui può fare i suoi porci comodi, che è, da sempre, il massimo della maleducazione.
E che dire della legge che impone al datore di lavoro di adeguare gli impianti di depurazione per permettere agli impiegati di fumare in ufficio? Significa che, in presenza di un ventilatore, sarà permesso anche scoreggiare?
Respirare il fumo di una sigaretta, infine, fa venire il cancro. Respirare l'odore di un peto fa venire, al massimo, il dubbio su chi lo ha sganciato."




Le immagini sono due lavori di Oliviero Toscani.

giovedì 10 maggio 2012

Inciviltà, la nonchalance di un gesto

So che molti hanno già letto questo mio pezzo, ma mi sembra sempre attuale. Lo ripropongo.


 Il fazzoletto, il chewingum, la cicca di sigaretta, l’involucro di un pacchetto di caramelle ( potremmo sfiziarci a più non posso con la lista) buttati dal finestrino di una macchina in transito. Magari ironia della sorte, trasportati dal vento, finiscono in un contenitore chiamato cestino.
La bottiglia di una birra, il bicchiere di un cocktail, il piattino di una crepes con annessi forchetta, coltello e tovagliolo (vuoi che chi la mangia non si debba pulire per benino i baffi di nutella?!),abbandonati in un vicolo, come se lasciarli lì volesse quasi dire “il netturbino cosa esiste a fare?!”.
Elettrodomestici di vario genere adagiati ai cassonetti dell’immondizia perché non c’è più spazio per loro e chi non deve farne più uso non ha più tempo e voglia di tornare a buttarli il giorno dopo, quando la ditta addetta alla nettezza urbana ha svuotato i cassonetti. Perché tenerli ancora a casa o in garage se invece possono giacere  indisturbati a fianco dei bidoni della spazzatura, che male fanno?mica sporcano?
Il preservativo, la salvietta intima, perché non gettarli proprio lì? Perché non poter fare fin in fondo tutto selvaggiamente così come l’atto che si è appena consumato?
Il piscio, la cacca (di animale e umana) davanti al portone  di casa tua. Ma sì, in fondo capisco bene: è così scocciante dover fare la fila per andare nel bagno del bar che è molto meglio farla en plen air, dà più soddisfazione.
L’ombrello che, data la forte folata di vento, si è rotto e ha perso la sua funzionalità, perché aspettare di trovare un cassonetto per buttarlo, se posso lasciarlo tranquillamente sul marciapiede? Tanto non mi serve più ormai.
L’elenco di comportamenti di questo genere potrebbe continuare senza mai trovare fine.
Mi capita spesso di osservare gesti che, definire incivili, significherebbe fare un complimento a chi li compie.
Altrettanto di frequente succede che mi ritrovi ad evidenziare la gravità del gesto, biasimando chi lo ha compiuto, ma la stragrande maggior parte delle volte le mie parole non vengono recepite come rimprovero e così scatta il sorriso di colui che viene rimproverato, quasi a voler dire “su, dài, vorrai mica adirarti sul serio per una mezza carta buttata a terra?! Vorrai mica dire che proprio quel fazzoletto sarà la causa dell’inquinamento mondiale?!”
E così, anche se sotto mio suggerimento, raccoglie il fazzoletto appena gettato, la volta dopo mi ritrovo a fargli notare di essere nuovamente l’esecutore dello stesso identico e ingiusto comportamento della volta precedente.
Allora, se non si capisce l’importanza e l’aspetto grave di tali gesti, pongo la questione su un altro piano, quello estetico.
Anche solo per un senso di decoro e ordine dell’ambiente, non sarebbe meglio utilizzare gli appositi cassonetti o cestini? Che questi esistano avrà un senso?

Parlo il dialetto e non me ne vergogno

Sono una di quelli che di solito e più che volentieri parla il dialetto. Vuoi perchè mi piace, vuoi perchè lo si parla a casa, vuoi perchè con mia nonna non potrei più di due minuti parlare in italiano. Ma non mi faccio mancare la frase in dialetto anche al bar con gli amici.
Il dialetto tante volte viene in mio soccorso. E sì, perchè ci sono situazioni, sensazioni e momenti che non potrebbero essere detti se non attraverso il dialetto, senza troppi giri di parole. Basta il suono di un "efes" per esprimere un sentimento di meraviglia.
Spesso però, c'è chi  vede come una scurrilità parlare il dialetto. Spesso c'è chi si sente quasi imbarazzato dalla presenza di chi lo parla, come se quella stessa lingua appartenesse solo a chi la pratica, senza sapere che è lui che compie un errore. L'errore di non parlare il dialetto e di non portare avanti  la tradizione che quell'idioma possiede. Se guardiamo all'etimologia della parola idioma (dal latino idioma , "peculiarità" ) non possiamo non apprendere che il dialetto è espressione propria di una lingua, è ciò che la caratterizza, che la rende peculiare. E non parlare quella lingua significherebbe spezzare la catena, vorrebbe dire troncare la sua storia.
Ricordo con affetto un'esperienza fatta con alcuni compagni delle scuole medie: un'esibizione col gruppo folk della scuola. Ci esibimmo con canti in dialetto venosino e trovammo una platea contenta di averci ascoltato. A fine spettacolo il presentatore fece una sua riflessione sull'importanza di tramandare la lingua dialettale, invitando     
i più adulti a non ammonire i più giovani che parlavano il dialetto.
Non permettiamo che si vada cancellando ciò che ci caratterizza. Stamattina, mi sono imbattuta in un articolo su Repubblica.it che denuncia la quasi scomparsa di alcune lingue. Vi lascio alla lettura del pezzo.
http://www.repubblica.it/scienze/2012/05/09/news/lingue_in_via_d_estinzione_solo_internet_pu_salvarle-34473862/?ref=HREC2-16

mercoledì 9 maggio 2012

Si aprono le danze

Il mio primo post. In realtà non è esclusivamente mio, perchè l'idea del blog è nata insieme con alcune persone che mi hanno suggerito di creare un mio spazio, uno spazio dove poter scrivere cosa, quando e come voglio. Sì, uno spazio libero che possa essere  luogo per le mie riflessioni e punto di incontro per chi avrà curiosità di leggermi.
Non so ancora bene di cosa tratterò. Al momento non riesco a creare delle sezioni di argomenti, posso solo assicurare che scriverò ogni qualvolta sentirò l'esigenza di raccontare fatti attraverso l'esperienza che farò di essi e di raccontare me stessa senza presunzione, ma con la sola consapevolezza che le mie riflessioni possano essere motivo di condivisione o disaprovvazione, confronto e discussione. Apriamo insieme le danze e incrociamo le dita.